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Storia di una Missione: Oltre 200 Anni di Assistenza a Padova con AltaVita-IRA

28/08/2025 05:44

Ogni tanto, nei contenuti che popolano i nostri siti internet o i nostri canali social, trovate scritto che AltaViva-IRA compie la sua mission da oltre due secoli, per esattezza dal 1821. In queste righe cerchiamo di dare qualche dettaglio in più, tratteggiando un po’ di storia.

Padova e il suo territorio, negli anni 1816 – 1817, è stata devastata (come il resto d’Italia) da una grave carestia. Una folla di contadini invade quindi la città, in cerca di lavoro o di elemosina. La situazione sociale è totalmente diversa da quelle che ci sono mai state familiari e gli scenari sono drammatici. Un anonimo scrive, a proposito degli accattoni: “Quando è passata l’ora degli approvvigionamenti familiari gli abitanti ritornano ai loro alloggi; allora non si incontrano quasi che mendicanti; il loro numero è immenso. A coloro che essi importunano, non risparmiano né il disgusto dei loro mali né la vista dei loro cenci né la molestia della loro insistenza e petulanza, né infine la ripetizione della preghiera a Dio, alla Vergine, a tutti i Santi, per voi, per loro stessi, per tutto il mondo”.

Il 1° gennaio 1818 inizia a funzionare il Regno Lombardo Veneto: il problema di contrastare l’accattonaggio e di soccorrere la povertà è uno dei primi che deve affrontare la nuova amministrazione austriaca. Nel 1819 si fa strada l’idea di destinare l’ex Monastero di Sant’Anna a Casa di Ricovero.

Il 2 settembre 1820 muore a Padova il Canonico Giusto Antonio Bolis (un nome per noi conosciuto…), lasciando per testamento il suo patrimonio a un istituendo Pio Istituto di ricovero, a condizione che sia aperto entro un anno dalla sua morte.

Il 1° settembre 1821, perfettamente nel tempo imposto (!!), l’Opera Pia accoglie i primi soggetti nell’ex Monastero di Sant’Anna, segnando la nascita della Casa di Ricovero (quella che poi diventerà l’attuale AltaVita-IRA), detta anche “Pio Ricovero dei Vecchi”. Dieci anni più tardi il Comune di Padova accordò l’uso del monastero del Beato Pellegrino alle donne, con l’assistenza delle suore elisabettiane.

Come logistica, quindi, fu la Chiesa di Sant’Anna (acclusa a un antico monastero di suore domenicane, sostituite poi dalle benedettine) nell’anno 1821 il primo domicilio per la sezione maschile della “Casa di Ricovero”, poi trasferita nell’anno 1883 in via Beato Pellegrino, ove già esisteva la sezione femminile.

La nascita di una simile istituzione va anche letta alla luce di un cambiamento culturale nella società dell’epoca. Con la fine delle guerre napoleoniche (che provocarono comunque un aumento della povertà e dei bisogni di assistenza) e la spinta del concetto di uguaglianza arrivato dalla Francia, maturarono soluzioni diverse e più avanzate rispetto a quelle settecentesche, dove invece si vedeva l’assistenza anzitutto come un atto filantropico, non come un dovere verso chi stava peggio.

Ora facciamo un salto in avanti di un secolo. Le condizioni di vita sono cambiate, l’Italia è diventata uno stato, passato attraverso il tritacarne della Prima Guerra Mondiale, ma alcune piaghe sociali sono rimaste le stesse. Se infatti nel 1821 l’asburgico Arciduca Ranieri, nel dispaccio di fondazione parla di istituire la “Casa di Ricovero” per contrastare l’accattonaggio, nel 1934 il Consiglio di Amministrazione inizia la sua relazione al Prefetto di Padova per illustrare l’ampliamento dell’ente in Via Vendramini con queste parole: “Nelle impellenti e ognor crescenti necessità della vita cittadina stanno fra le prime l’assistenza ai vecchi affetti da malattie croniche e il bando dell’accattonaggio, alle quali urge provvedere con ogni possibile mezzo”. Insomma, a 113 anni di distanza emerge lo stesso problema e si usa la stessa parola.

È interessante notare, in quei decenni, lo svolgersi indispensabile di un attività ospedaliera da parte dell’ente, che si concretizza nel ricovero di malati cronici e inguaribili, come anche – dopo la Grande Guerra – il progresso della scienza medica e farmaceutica, con le cure che migliorano e la differenziazione dei malati acuti che si concretizza.

Per restare negli anni del primo dopoguerra è interessante notare (e per i nostri occhi del XXI secolo anche un po’ scioccante ricordare) come nella realtà fossero le strutture interne di una casa di riposo, che aveva esigenze diverse e si basava su protocolli di cura completamente differenti rispetto agli attuali.

Dalle foto (datate 1920) che corredano queste righe potete infatti vedere come fossero un dormitorio, un refettorio, un grande ambiente-infermeria (che divenne poi parte dell’Ospedale Geriatrico). Immagini che, come molto spesso accade, raccontano più di mille parole e date il cambiamento della nostra società e del modo di prendersi cura dei soggetti più fragili.

 

Nota: informazioni storiche e immagini tratte dalla pubblicazione di AltaVita-IRA “I duecento anni dell’Istituto di Riposo per Anziani”, opera collettiva edita da Editrice La Garangola di Padova nel 2006.

 

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