CURE PALLIATIVE NELLE R.S.A.

a cura di Aurelio D'Agostino, Medico di Medicina Generale - Nucleo Cure Palliative USL 16 – Padova. Atti del convegno 6 maggio 2016 "Terminalità e Residenzialità"

Cosa sono le cure palliative

L’ Organizzazione Mondiale per la Sanità nel 2002 definisce le cure palliative come: …” un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicosociale e spirituale.

Più esaustiva è la definizione che ne dà la legge 15 marzo 2010 n.38 che le definisce ” l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici , nel rispetto dei princìpi fondamentali di tutela della dignità e dell’autonomia del malato, tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine e adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.

Le cure palliative forniscono sollievo dal dolore e da altri gravi sintomi, e considerano la morte un processo naturale che non intendono affrettare né ritardare, esse devono essere iniziate precocemente nel corso della malattia (simultaneus care), in associazione ad altre terapie mirate al prolungamento della vita, quali la chemioterapia e la radioterapia.

Secondo la nostra esperienza le cure palliative non devono essere prerogativa solo di team specializzati, nei vari luoghi di cura a livello domiciliare, negli hospice o in ospedale, e attivate solo quando tutti gli altri interventi terapeutici sono stati interrotti, ma i principi della medicina palliativa devono diventare parte integrante in tutto il percorso di cura e devono essere garantiti in ogni ambiente assistenziale.

 

I bisogni delle persone anziane alla fine della vita

Non sorprende il dato che la grande maggioranza dei decessi si realizza tra le persone con oltre 65 anni di età. Sorprende, invece, come a questo dato non sia seguita una intensa attività di ricerca volta a comprendere i bisogni delle persone anziane alla fine della vita. È esperienza comune che i bisogni delle persone anziane sono peculiari perché i loro problemi sono diversi e spesso molto più complessi di quelli delle persone più giovani in quanto le persone anziane sono più frequentemente affette da pluripatologie il cui effetto cumulativo è causa di maggiori disagi e accresciuti bisogni assistenziali,le persone anziane sono più suscettibili di patologia iatrogena e i loro problemi sanitari molto spesso si aggiungono ad una preesistente disabilità fisica o mentale, all’isolamento sociale, alle difficoltà economiche.

Con l’incremento dell’età dei pazienti i problemi più comuni sono la confusione mentale, l’incontinenza sfinteriale, la riduzione dell’acuità visiva e dell’udito, le vertigini . Quindi, i problemi di cui soffrono le persone anziane nell’ultimo anno di vita paiono essere in parte legati all’età di per se, ed in parte alla malattia terminale. E’ evidente una maggiore complessità assistenziale nel paziente anziano. Dal momento, poi, che l’espressione di un giudizio prognostico è resa molto più difficile dalla presenza concomitante di più malattie, le cure palliative dovrebbero davvero rappresentare una risposta ai bisogni espressi dal paziente e dai suoi familiari piuttosto che essere collegate alla prognosi. Ad illustrare con ulteriore dettaglio questa circostanza sono qui riportati i casi del cancro, dello scompenso cardiaco e della demenza.

Cancro

L’incidenza di cancro è progressivamente più alta con l’avanzare dell’età, e tre quarti delle morti attribuibili al cancro avvengono tra le persone con oltre 65 anni. Le persone malate di cancro generalmente hanno una funzione fisica globale preservata sino agli stadi molto avanzati di malattia, ma hanno bisogno di supporto psicologico e di comunicazione sin dai primi momenti dopo la diagnosi (Fig. 1).

 

Scompenso cardiaco

Lo scompenso cardiaco colpisce una persona ogni 10 dopo i 70 anni, e la mortalità a 5 anni dalla diagnosi è peggiore di quella di molte neoplasie. Il decorso della malattia è caratterizzato da esacerbazioni intermittenti della dispnea e deldolore che precipitano le condizioni del paziente ma che poi eventualmente recedono restituendolo con gradualità al suo livello precedente di funzione fisica globale . Il decesso avviene per un declino progressivo o per morte improvvisa (Fig.2) .I pazienti affetti da scompenso cardiaco hanno in genere una percezione ed una comprensione piuttosto scadente della loro malattia, della severità e delle implicazioni prognostiche. Ciò è riconducibile a una comunicazione da parte dei professionisti della salute spesso incompleta e elusiva, da una parte per le oggettive difficoltà prognostiche e dall’altra, per una scarsa inclinazione alla comunicazione di notizie negative .

 

Demenza

Circa il 4% degli ultrasettantenni è affetto da una qualche forma di demenza e questa percentuale sale al 13% tra le persone ultraottantenni . L’aspettativa di vita media dal momento della diagnosi è di circa 8 anni, caratterizzati da un progressivo, inesorabile deterioramento delle funzioni cognitive e globali (Fig. 3). I sintomi più comuni della demenza sono la confusione mentale, l’incontinenza urinaria, il dolore, la depressione, la stipsi e la perdita dell’appetito. Sulle famiglie dei pazienti affetti da demenza si riversa un carico psico-fisico ed emotivo di enormi proporzioni, pari solo alla tristezza con cui osservano spengersi, giorno dopo giorno, la persona che hanno conosciuto durante tutta una vita. Peraltro, al giorno d’oggi tra i malati che ricevono cure palliative negli hospice meno dell’1% ha una diagnosi di demenza quale malattia principale .

 

I bisogni dei caregiver

Il ruolo insostituibile del caregiver nell’assistenza alle persone anziane gravemente malate non è stato compreso che solo recentemente e poco o nulla si sa dei loro bisogni. Il loro ruolo può variare ad includere l’assistenza nell’igiene personale, l’aiuto nelle attività del vivere quotidiano, il sollevamento e riposizionamento a letto. In genere, il caregiver ha stretti vincoli di parentela con il paziente, spesso vive nella medesima abitazione. Il carico psico-fisico ed emozionale che questo comporta può ad un certo punto produrre cambi della personalità e del comportamento, sostenuti da emozioni conflittuali, può comportare gravi limitazioni della propria vita personale e, a volte, il dispendio dirisorse finanziare. L’assistenza continuata ai propri cari è un servizio che non è né retribuito né supportato, un servizio che può risultare dannoso alla salute, al benessere ed alla sicurezza economica dei caregiver.

 

Autonomia decisionale e scelte personali

Indipendentemente da quanto complessi possano essere i problemi di una persona, e da quanto incerte le aspettative future, l’autonomia rimane un diritto fondamentale della persona e il suo rispetto è un valore etico peculiare delle società civili .

La cura centrata sulla persona considera prioritario il rispetto dei valori del paziente e delle sue preferenze, facilitando il veicolare informazioni e consenso in maniera chiara e comprensibile, promuovendo l’autonomia nelle decisioni.

 

Identificazione dei pazienti «terminali»

Sviluppatesi nel contesto assistenziale della malattia oncologica avanzata, le cure palliative sono state in seguito estese all’AIDS o ad altre malattie croniche come lo scompenso cardiaco, l’insufficienza renale, l’insufficienza epatica, le broncopneumopatie croniche ostruttive e le sindromi neurologiche degenerative. Terminale viene inteso comunemente il paziente con aspettativa di vita non superiore a sei mesi, ma l’identificazione in termini così rigidi si è dimostrata difficile da attuare, in particolare nel caso di diagnosi non correlate al cancro.Definire la terminalità è una vera sfida a causa della complessità delle polipatologie che riduce la capacità predittiva di rigidi criteri clinici.

Esiste una reale difficoltà nel determinare la prognosi a breve-medio termine in pazienti affetti da patologie croniche in fase terminale. Una corretta valutazione prognostica del paziente terminale, specie se anziano, non può prescindere dall’applicazione di un giudizio soggettivo «informato», basato cioè su una adeguata formazione specialistica, e supportata dall’adozione di indicatori clinici oggettivi, ottenuti con l’impiego di scale validate. Il termine “tempo” quindi non dovrebbe più avere significato nell’identificare i malati terminali in quanto l’errore di questa valutazione consiste nelconsiderare il malato terminale un paziente con aspettative di vita brevissime, ma sappiamo che non è sempre così.

La demenza è, in generale, una malattia lunga e altamente invalidante. La durata media è incerta e ancora oggi oggetto di discussione, essenzialmente a causa della difficoltà di individuare l’esordio dei sintomi e del ritardo con cui viene formulata la diagnosi. La demenza, però, pur essendo una malattia ad esito invariabilmente infausto, spesso non viene riconosciuta come tale, ed i malati in stadio avanzato che ne sono affetti, non sono solitamente riconosciuti come malati terminali, e solo pochi di loro vengono inseriti in un programma di cure palliative.

Ciò non dipende solo dal mancato riconoscimento delle demenze come malattie terminali, ma anche da una relativa inadeguatezza della proposta di intervento delle cure palliative stesse. In effetti oggi, le cure palliative vengono proposte ed erogate soprattutto per i malati di cancro in fase avanzata, e l’organizzazione dell’assistenza è modellata sui loro bisogni. La rete delle cure palliative si basa su tre cardini: l’assistenza ai malati degenti in ospedale, attraverso un sistema di consulenze tra servizi (in genere quello di cure palliative e quello di oncologia); l’assistenza domiciliare grazie ad equipe specialistiche che si affiancano o, più spesso, si sostituiscono al medico di base; e il ricovero in hospice, per quei malati che per problemi specifici (mancanza di una abitazione adeguata, assenza della famiglia, necessità di interventi clinici palliativi di natura complessa, ecc.) non possono essere curati a casa loro.

 

Le cure palliative domiciliari nella realtà padovana

Dal 2009, in applicazione della Legge Regionale n°7 del 2009, e successivamente della legge 38 del 2010 è attivo un progetto di riorganizzazione delle cure palliative che ha coinvolto direttamente la Medicina Generale. Ricalcalcando quello che il Servizio Sanitario Inglese (NHS) già definisce “General Practitionner with special interest in palliative care”, si sono identificati all’ interno della Medicina Generale alcuni medici con formazione e vocazione alle cure palliative. Questi medici ormai rappresentano un punto di riferimento per i colleghi della stessa area distrettuale per tutto ciò che attiene ad interventi palliativi di primo livello.

 

Modello organizzativo generale

Il modello organizzativo della rete delle Cure Palliative è costituito da

  • Una Struttura Centraledi Coordinamento Cure Palliative ( UOC Cure Palliative) con sede presso il complesso ospedaliero dei Colli, che coordina l’attività dei Nuclei Cure Palliative Distrettuali – composti da MMG opportunamente preparati, psicologi, Infermieri domiciliari dedicati – che si affiancano al Medico di famiglia (che resta il responsabile clinico del caso) nella presa in carico dei pazienti in cure palliative domiciliari
  • Gli Hospice Paolo VI e S.Chiara
  • La Centrale Operativa Territoriale, attiva h 24, che svolge una funzione di coordinamento della presa in carico dell’utente «protetto» e di raccordo fra i soggetti del la rete assistenziale”
  • Distretti Socio Sanitari – Infermieri ed èquipe dei Punti Unici di Accoglienza Distrettuale, Infermieri Cure Domiciliari, reparti e ambulatori IOV per la presa in carico precoce, Infermieri Case Manager Secc, Medici di Continuità Assistenziale, la rete dei Servizi territoriali e i servizi socio-assistenziali;
  • Le Connessioni: Percorsi Assistenziali, sistema informativo con strumenti informatici, procedure e linee guida Aziendali, documentazione sanitaria e socio sanitaria della persona assistita e altri strumenti informativi specifici.

I risultati raggiunti sono più che lusinghieri se si pensa che 2/3 dei decessi (845 nell’ultimo anno) sono stati gestiti a domicilio!

 

Cure palliative nelle strutture residenziali

Tra il 2 e il 5% degli ultrasessantacinquenni vive nelle residenze sanitarie. Si tratta di anziani fragili o con disabilità fisiche o mentali, affetti principalmente da cerebrovasculopatie, scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria, morbo di Parkinson e demenza. Molte persone identificano le residenze sanitarie come l’ultimo luogo prima della morte, e indubbiamente molte necessitano di cure palliative . le residenze sanitarie hanno un ruolo sempre più importante nella cura degli anziani fragili al termine della loro vita . Circa la metà di tutte le persone anziane viene ricoverato in residenza sanitaria almeno per qualche giorno nell’ultimo mese di vita. Le persone arrivano a morire nelle residenze dopo un periodo di disabilità più lungo rispetto alle persone che muoiono a casa. La grande maggioranza delle persone che vivono nelle residenze sanitarie lamenta dolore e i dati della letteratura scientifica suggeriscono che esso non è adeguatamente trattato e, a volte, non è trattato affatto . Più di due terzi della popolazione nelle residenze, poi, è affetta da deterioramento cognitivo e questo complica la valutazione ed il riconoscimento del dolore. In alcuni Paesi, nelle residenze sanitarie sono presenti Unità di Cure Palliative. In Olanda, per esempio, sono presenti in circa il 13% delle residenze. In generale, comunque, le informazioni riguardo le cure al termine della vita nelle residenze sanitarie sono limitate ma c’è ragione di credere che alcune specifiche caratteristiche di queste istituzioni siano gravate da criticità.

In Italia non esistono molti dati relativi al tipo di cure a cui vengono sottoposte le persone affette da demenza severa nell’ultima fase della loro vita: in particolare non è noto se l’approccio a questi malati è di tipo prevalentemente interventista o prevalentemente palliativo. La letteratura internazionale segnala in merito importanti differenze di comportamento non solo da Paese a Paese, ma anche nell’ambito della stessa realtà territoriale. I pochi dati della letteratura suggeriscono che le persone con demenza grave ricoverate in RSA non siano percepite come malati terminali, non ricevano cure palliative ottimali e che sia quindi necessario un rilevante intervento educativo nei confronti degli operatori che si occupano di loro. E se è irrealistico ipotizzare la creazione nel breve periodo di UCP all’interno di RSA, nel contempo esistono incoraggianti presupposti a far sì che un approccio di tipo palliativo divenga parte integrante dell’assistenza in ogni RSA. Esiste infatti una sostanziale similarità tra chi cura gli anziani (geriatri ) e palliativisti.

 

Analogie tra chi cura gli anziani e i palliativisti

Esse sono rappresentate dal medesimo obiettivo delle cure che non è quello della guarigione ma della cura dei sintomi, del benessere, e dell’attenzione alla qualità di vita. In entrambi gli ambiti l’organizzazione del lavoro avviene di norma in equipe, e la famiglia ne e’ un interlocutore costante e privilegiato

La morte non viene vissuta né dal geriatra né dal palliativista come fallimento dell’atto medico, ma come evento naturale, previsto e anche atteso.

Il personale delle RSA è abituato da sempre ad affrontare la fase terminale e la morte,il personale per formazione eo per vocazione o per entrambe è spesso in grado di fornire adeguate cure palliative a questi malati, ne consegue , a parer mio , che le RSA possano candidarsi come “hospice naturali” per le persone anziane in fase di terminalità. Fatta questa premessa sulla oggettiva attitudinealle cure palliative nell’ambito delle RSA viene spontaneo chiedersi come migliorare la loro qualità .

Lo strumento che al momento è più accreditato per migliorare le prestazioni assistenziali è senza dubbio quello della formazione sul campo e della conseguente ricerca.

Gli obiettivi formativi riguardano il cambiamento nella percezione delle c.p. nella terminalità nell’ambito delle RSA, la riduzione della prevalenza di prescrizioni ed interventi inappropriati nell’ultima settimana di vita, l’adozione di strumenti di rilevazione e valutazione orientati in senso palliativo e infine la stessa valutazione dell’efficacia del percorso formativo .

Sono in corso di pubblicazione i risultati di uno studio appena concluso che ha coinvolto ben 29 RSA lombarde e 18 toscane per un totale di 659 decessi che si proponeva i medesimi obiettivi e che riteniamo si possa prendere come modello anche per la realtà padovana .

Mi riferisco al progetto V.E.L.A., acronimo di Valutazione Efficacia LeniterapiaAlzheimer.

Sono state analizzate le cartelle cliniche dei pazienti con demenza avanzata (FAST 7c ) ricoverati in RSA da almeno 6 mesi.analizzando i deceduti prima (fase pre) e dopo la conclusione (fase post)dell’intervento formativo. Il progetto è nato con l’obiettivo di migliorare l’assistenza alle persone anziane affette da demenza in stadio avanzato e terminale mettendo in contatto il personale che opera nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.) – in particolare medici e infermieri – con le cure palliative, le loro prassi, gli strumenti terapeutici e la cultura che le ispira.

Scopo del progetto era quello fornire, tramite un breve ma intenso evento formativo, elementi di riflessione e proposte cliniche concrete al personale medico e infermieristico di un campione di 50 R.S.A. lombarde e toscane al fine di modificare la percezione del ruolo delle cure palliative nell’assistenza ai malati con demenza in fase avanzata, e di fornire loro strumenti decisionali e indicazioni cliniche proprie della medicina palliativa. Il percorso formativo e introduttivo alla filosofia della palliazione si articolava in un breve corso di formazione intorno all’appropriatezza delle cure, al riconoscimento e alla cura del dolore e dei principali sintomi, in particolare della dispnea, ai problemi concernenti l’alimentazione e idratazione artificiali, all’accompagnamento alla morte, favorendo una riflessione sui principi teorici e sui metodi delle cure palliative, con particolare accento sulle decisioni di fine vita

Il risultato atteso consisteva nella modifica di alcuni atteggiamenti comportamentali e prescrittivi in senso maggiormente palliativo. Siamo convinti che , data la sostanziale somiglianza, a livello teorico, tra gli obiettivi e la prassi della geriatria e delle cure palliative un passaggio di esperienza-cultura dalle cure palliative alla geriatria possa modificare sensibilmente la qualità delle cure ai malati anziani affetti da demenza grave e gravissima. Un intervento formativo diretto specificamente ai principali decisori del percorso assistenziale (medici e infermieri) dovrebbe determinare cambiamenti più sensibili e rapidi nella assistenza a questi malati.

Cosa è cambiato nelle RSA analizzate

In sintesi:

  • aumenta l’adozione di strumenti per la stadiazione della demenza e la valutazione dei sintomi
  • In cartella viene riportata la diagnosi di demenza e definita come causa di morte
  • aumenta il numero di persone accompagnate con un approccio palliativo
  • si riduce il numero di farmaci somministrati nell’ultima settimana di vita
  • aumenta l’attenzione al trattamento del dolore
  • si riduce il numero di persone esposte a trattamenti rianimatori

 

Concludendo

E’ evidente come la formazione possa produrre cambiamenti migliorandola gestione della terminalità e favorendo una maggiore consapevolezza della cultura e della adottabilità di una strategia palliativa all’interno delle RSA.

L’augurio e la proposta che ci permettiamo di avanzare è di sperimentare anche nella realtà padovana un analogo approccio formativo al fine di sviluppare e migliorare la qualità delle cure palliative geriatriche e contribuire ad una crescita culturale dell’intero settore.